Siamo abituati a pensare e a dire che i bambini, i nostri bambini, giocano con lo smartphone o con il tablet. Non ci viene il dubbio che sarebbe più corretto parlare di "utilizzo" e che dovremmo riservare il termine "giocare" a situazioni diverse, più libere e creative di quanto non sia o voglia apparire la cornice virtuale del device di turno? La parola chiave è proprio quella di creatività. Perchè l'importanza del gioco sta soprattutto nella sua capacità di sviluppare le potenzialità inventive e creative dei bambini.
Un utilizzo precoce e troppo frequente di dispositivi elettronici basati sull'interazione visiva (quindi dotati di schermo, anche se touch screen) sottrae ai bambini tempo prezioso che invece potrebbero (dovrebbero?) dedicare ai giochi veri, cioè quelli con oggetti e materiali reali, possibilmente all'aperto, e con compagni di gioco in carne ed ossa, specialmente di età mista.
Del gioco e del suo ruolo nello sviluppo del bambino si occupa da molti anni lo psicologo americano Peter Gray, autore nel 2013 del fortunato saggio "Free to learn"; un suo recente articolo pubblicato in Italia dalla rivista Internazionale ha contribuito ad alimentare il dibattito su questi temi, quanto mai attuali nell'epoca del "tablet facile".
"Oggi i bambini - si legge nell'abstract del suo articolo, scaricabile qui - non hanno più tempo per giocare tra di loro. La vita a scuola e nel tempo libero è gestita e organizzata dagli adulti. Ma solo giocando possono acquisire le abilità sociali che gli serviranno da grandi: ascoltare gli altri, essere creativi, gestire le emozioni e affrontare i pericoli"
"Il gioco per i bambini è una necessità vitale - scrive Massimo Ammaniti su la Repubblica, riprendendo il lavoro di Gray - perché devono apprendere i complessi codici degli scambi sociali, scoprire situazioni nuove, superare ostacoli imprevisti, coordinare i propri sforzi con gli altri per raggiungere un risultato condiviso. Basta osservare dei bambini che giocano per comprendere il valore e il significato del gioco: non è un' attività imposta, i bambini spontaneamente decidono se partecipare o no, se non si divertono più possono ritirarsi o contrattare per iniziare un altro gioco, fare dei compromessi e stabilire insieme le regole."
Non è curioso che proprio in Italia, patria della monumentale Maria Montessori (http://it.wikipedia.org/wiki/Maria_Montessori), sia il lavoro di uno studioso americano a destare l'attenzione su certe questioni? Comunque, per tornare in Europa, sempre su questi temi, merita di essere letto il recente documento dal titolo eloquente "L'enfant et les écrans" (il bambino e gli schermi), scaricabile qui, redatto su invito dell'Accademia delle Scienze di Francia da un gruppo di studiosi francesi coordinati da Serge Tisseron (http://www.sergetisseron.com/), psichiatra e psicologo di grande fama ed esperienza.
Si tratta di sviluppare una nuova cultura che si basi non solo sull'abilità tecnica dell'uomo, ma anche sulla sua saggezza; non solo sulla sua capacità di modificare la natura, ma anche su quella di comprenderla; che veda l'uomo non solo in grado di dare nuove qualità all'artificiale, ma anche di garantire la continuità di quel fragile substrato naturale su cui si basa tutto l'esistente e anche la sua stessa speranza di vita. (E.M.)
