Se ricordate qualche anno fa, era il febbraio 2011, uscì quel bel libro della Paola Mastrocola / Togliamo il disturbo, editore Guanda / che affrontava molti temi legati al mondo dell'insegnamento e della scuola, tra cui quello della liceizzazione, appunto. Scriveva con tono enfatico e una vena di ironica degnazione la Mastrocola: "Guardiamo in faccia i nostri ragazzi, e chiediamoci se sono dei condannati ai lavori (scolastici) forzati. E se per caso uno di loro volesse far altro? Non studiare, non stare a sentire me che gli parlo di Petrarca, ma andare a bottega da un fabbro, e imparare l'arte di forgiare candelabri, lampadari, cancelli, o monili come il dio Efesto?" / p. 216
Nella visione vagamente allucinata di Mastrocola (ripresa in un articolo sull'Unità) emergono due idee di scuola che affiancano la scuola della Conoscenza (cioè quella dei saperi tradizionali e dello studio): sono la scuola del lavoro (W) e la scuola della comunicazione (C). La scuola del lavoro che sogna la Mastrocola, la W-SCUOLA, è una scuola permeata da quell'umanesimo scientifico e tecnologico che con tanta fatica sta mettendo /o dovremmo dire rimettendo/ a poco a poco le radici nella cultura del nostro paese.
"È la scuola per chi vuole fare, nella vita, un lavoro manuale, pratico, tecnico. Diventare artigiano, per esempio, o tecnico: geometra, informatico, meccanico. Fare, costruire, riparare. Fare con i materiali concreti: il ferro, il legno, il vetro, le vernici, la calce; oppure fare in senso più teorico: progettare, programmare, revisionare. In queste Nuove scuole tecnico-professionali, ovvero delle arti e dei mestieri, mi piacerebbe - continua Mastrocola - che non si insegnassero però solo le materie tecniche, quelle strettamente utili a creare le future «competenze» professionali. Mi piacerebbe s’insegnassero anche le materie inutili, quelle non misurabili e non certificabili."
A proposito di lavoro pratico e manuale mi è tornata in mente la scena iniziale di 'Mangiare bere uomo donna', film taiwanese del 1994, che ci mostra un vero maestro, un cuoco esperto, intento a preparare il pasto domenicale per la sua famiglia. La scena comunica un senso di pace e di pienezza. Il protagonista ci appare impegnato, anima e corpo, nella sua attività di preparazione. La padronanza e la maestria che dimostra nello svolgere il suo lavoro è tutt'uno con il senso di adeguatezza e di gratificazione che ne ricava.
E' così denso e pregnante il nostro lavoro? E il lavoro di cui parliamo con i più giovani? E' possibile pensare che la scuola, magari la W-scuola della Mastrocola, possa / o potrà in futuro/ contribuire a formare uomini / e lavoratori / altrettanto appassionati e 'rapiti' dal proprio lavoro?