Si, perchè nella scuola media sono più di dieci anni, dalla riforma Moratti del 2004, che la vecchia espressione è andata in pensione e si parla più semplicemente di Tecnologia.
E se ne torna a parlare non in ambito scolastico, ma all'interno della cornice più ampia offerta dal nuovo Piano Strategico Metropolitano di Bologna (http://psm.bologna.it/), entrato in queste settimane in una fase particolarmente avanzata.
In particolare si è svolto qualche giorno fa un convegno che ha ottenuto una eco mediatica abbastanza ampia. Si legge sul blog del PSM:
| Il convegno dal titolo “Dire, Fare, Cambiare”, svoltosi il 9 aprile scorso, nasce nell’ambito del Piano Strategico Metropolitano di Bologna come riflessione utile allo sviluppo di progetti e iniziative finalizzati alla promozione della cultura tecnica, che nel nostro paese non riceve l’importanza che merita, in rapporto ai nuovi trend economici, sociali ed educativi. L’appuntamento, oltre a presentare i diversi progetti sviluppatisi in seno al PSM sul tema dell’educazione tecnica, ha, più in generale, inquadrato ed approfondito i nuovi significati, i paradigmi e le prospettive dello sviluppo economico e del lavoro, e le sue connessioni con la cultura ed i contesti educativi. |
Premetto che non ho potuto partecipare al convegno del 9 aprile, e me ne sto facendo un'idea da notizie e resoconti che trovo su internet, però la sensazione è che si parli di 'educazione tecnica' e di 'cultura tecnica' senza averne un'idea molto precisa e definita, o almeno senza preoccuparsi di darne una seppur semplice definizione. Nello stesso post citato poco sopra, peraltro anonimo (ma ormai l'anonimato su internet sembra diventato la norma, passiamo oltre), si apre con una citazione di Richard Sennet (“Tutti condividiamo pressappoco nella stessa misura le capacità grezze che ci consentono di diventare bravi artigiani; è nella motivazione e nell’aspirazione alla qualità che le strade degli uomini si dividono” - R. Sennet “L’uomo artigiano”, 2008) alla quale sembra si voglia di fatto delegare - forse un po' sbrigativamente, non vi pare? - il compito di suggerire che cosa si debba intendere per cultura o educazione tecnica, come se queste espressioni non fossero semanticamente ambigue e quindi vaghe.
Comunque prendiamo pure Sennet e andiamo avanti. Poco dopo si legge:
| Due Sociologi, il Prof. Daniele Marini (dell’Università di Padova) ed il Prof. Roberto Rizza (dell’Università Bologna), hanno fornito un interessante quadro di riflessione, offrendo uno sguardo lucido ed attuale sui continui cambiamenti del lavoro e della società e sulle nuove categorie interpretative per leggere lo sviluppo futuro. |
Viene da chiedersi: ma in questo 'sguardo lucido' che fine hanno fatto il 'bravo artigiano', l'aspirazione innata alla qualità, la motivazione intrinseca al ben-fare di cui parla Sennet? Ne avranno parlato i due studiosi? Andiamo a vedere le loro slides:
| Slide intervento prof. Daniele Marini Slide intervento prof. Roberto Rizza |
Che ne dite? Interessante la frase di Marini "La formazione assume una valenza etica: è l’unico appiglio cui agganciarsi per affrontare un simile contesto." (vi siete mai agganciati ad un appiglio? Io non ne sono sicuro)
Nelle slides di Rizza sembra emergere un tentativo di definizione di questa misteriosa 'cultura tecnica'; nella quarta slide si legge: "Economie esterne di tipo tangibile e intangibile fra cui spiccano le conoscenze contestuali, tacite e codificate, che rappresentano quella che potremmo definire “cultura tecnica” di un territorio, alimentata dai rapporti che si creano tra contesto produttivo locale, sistema educativo e formativo".
A voi è chiaro? A me non tanto, ma pazienza. Mi sembra invece molto chiaro, più o meno condivisibile certamente ma molto chiaro, quello che scriveva qualche mese fa Gian Carlo Vaccari a proposito della cultura tecnica:
| Noi pensiamo che la cultura tecnica comporti normalmente (anche se ci sono grandissime eccezioni!) lo studio della matematica e della fisica, o della scienza delle costruzioni o della statistica, ecc., ma queste, dal punto di vista culturale, sono dei mezzi più che dei fini. Le loro formule si possono anche dimenticare, perché ciò che conta non sono le formule, ma la struttura di pensiero che si acquisisce e il metodo che insegnano e che possono essere applicati a tanti altri ambiti: Analisi oggettiva dei problemi e delle situazioni; Mancanza di pregiudizi e di soluzioni prefabbricate; Decisioni basate sui dati di fatto, con il massimo di documentazione possibile e guidate dalla logica; Amore per il lavoro ben fatto e ricerca continua della massima qualità; Curiosità, voglia di capire, di andare a fondo nelle cose, negli eventi; Interesse per il nuovo, lo sconosciuto, il piacere della scoperta; Capacità di confrontarsi e disponibilità ad accettare pareri diversi dai propri; Capacità di autocritica e onestà intellettuale. In sostanza razionalità, pragmatismo, etica. |
Insomma si ritorna fortunatamente a parlare di cultura tecnica e di educazione tecnica, anche grazie al PSM di Bologna. Ma l'impressione è che il livello del confronto possa ancora crescere, e non di poco. Che ne dite?
