La necessità di distinguere tra differenti tipi di selezione scolastica - in particolare tra selezione positiva e selezione negativa - è ben espressa in un interessante contributo di Vertecchi a un convegno su 'Educazione e divisione del lavoro' dei primi anni 80. “Il linguaggio educativo è spesso reso ambiguo dalla sovrapposizione di aloni derivanti da accezioni parziali di un termine o singole manifestazioni di aspetti determinati. Quando l'alone è amplificato da mode finisce col pregiudicare anche per tempi molto lunghi usi più corretti del lessico. Qualcosa del genere è accaduto per la selezione, con effetti di riduzione e distorsione sul dibattito complessivo. Vorrei che la distinzione fra «selezione negativa» e «selezione positiva» rendesse di nuovo fruibile un concetto senza il quale i discorsi sull'educazione rischiano di restare tutti in qualche misura incompleti, o reticenti.”
Che cosa dobbiamo intendere allora con queste due espressioni? È più semplice spiegare il senso di una selezione positiva. “Si tratta di indicare per ciascun allievo un percorso formativo che consenta la più ampia espressione delle sue capacità e nello stesso tempo (1) non pregiudichi alcuna possibilità di ulteriore acquisizione di competenze, (2) né sia predittivo, almeno per tempi lunghi, della qualità del lavoro che potrà essere svolto.” Nella selezione positiva c'è quindi l'idea di una definizione individualizzata del percorso di studio unita alla duplice necessità di promuovere ogni ulteriore ampliamento del bagaglio di conoscenze e competenze e di innalzare il livello del loro possesso in modo da non limitare la futura scelta di un'occupazione ad una rosa quantitativamente e qualitativamente troppo modesta.
Ma è nella descrizione del meccanismo della selezione negativa, assai più complicato e subdolo, che lo studioso svolge alcune considerazioni di una chiarezza davvero illuminante. “È proprio della selezione negativa procedere attraverso esclusioni. Ciò avviene sia quando gli allievi selezionati possiedono caratteristiche scolastiche che lasciano prevedere uno sviluppo favorevole del curricolo, sia quando la previsione è sfavorevole. Potremmo anche dire che la selezione varia secondo una scala le cui posizioni corrispondono a varie misure di esclusione. (A) Se il giudizio sulle caratteristiche scolastiche è del tutto favorevole, l'esclusione riguarda ogni attività di studio che sia accreditata di una dignità inferiore rispetto a quella che si ritiene debba contrassegnare l'impegno intellettuale di allievi «dotati»: la dignità di un itinerario formativo corrisponde a sua volta all'assenza o alla misura della presenza di attività manuali e in genere applicative. (B) A misura del comparire nel giudizio sulle caratteristiche scolastiche di elementi sfavorevoli, la selezione negativa si sposta verso posizioni inferiori della scala, escludendo quelle che sovrastano secondo il criterio di dignità appena menzionato. (C) Ad un giudizio del tutto sfavorevole fa riscontro una reiezione esplicita dal sistema formativo; è raro tuttavia che a quest’esito si giunga in modo drastico; è più frequente invece che la reiezione costituisca l'effetto di una progressiva accumulazione di elementi negativi, contenenti cioè un potenziale di esclusione.” Nella selezione negativa gioca cioè in modo determinante una corrispondenza tra due scale di valore basate, la prima su di un criterio di «valore scolastico» del ragazzo (riferito sostanzialmente ai suoi risultati scolastici), la seconda su di un criterio di «dignità formativa» dell'itinerario (riferito al tasso di presenza di attività manuali o applicative). A partire da una attribuzione di dignità ai diversi itinerari formativi, il meccanismo della selezione negativa 'assegna' quindi in modo quasi deterministico a ogni ragazzo - una volta che ne siano conosciuti i risultati scolastici - il 'suo' itinerario formativo. Quindi l'esclusione che deriva da una selezione negativa agisce non solamente sui ragazzi con i risultati meno brillanti - come normalmente si crede - ma anche sugli altri.
Conclude Vertecchi: “Se si vuole respingere una nozione deterministica di educazione bisogna che la scuola acquisti una capacità di selezione positiva, fondata cioè non sull'esclusione ma sull'inclusione. La condizione perché la scuola sia in grado di attuare una selezione positiva è che la formazione di base assicuri a tutta la popolazione il possesso diffuso di abilità fondamentali: se la selezione è una scelta, e la scelta consente di essere diversi, bisogna però che le condizioni di scelta siano uguali. In altre parole la selezione è positiva se non è condizionata, e non è condizionata se interviene su un corredo di abilità uniformemente posseduto ed apprezzabile per quantità e qualità.” Oggi come allora mi sembra che le condizioni di equità associate ad un 'possesso uniforme' di abilità e di competenze siano, almeno dalle mie parti, ben poco presenti e realizzate. Quella che ancora oggi funziona meglio è certamente la selezione negativa; quella positiva attende ancora il momento - speriamo non troppo lontano - in cui potersi manifestare in tutto il suo valore.
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vedi: Benedetto Vertecchi, “È possibile una selezione positiva nella scuola?”, in “Quale società? Un dibattito interdisciplinare sui mutamenti della divisione sociale del lavoro e sulle loro implicazioni educative”, a cura di Aldo Visalberghi, La Nuova Italia, 1985.

