Il chiaro e perentorio riferimento al lavoro seguiva di un paio di anni un altro forte richiamo a questo valore fondamentale, relativo in questo caso alla politica scolastica della nascente repubblica. Nei programmi della scuola elementare approvati con DM il 9 febbraio 1945 e successivmante tradotti nel Decreto luogotenenziale n. 459 del 24 maggio 1945 ("programmi per le scuole elementari materne"), liberamente consultabili sul sito della Gazzetta Ufficiale storica, il lavoro rappresenta una delle discipline o materie di insegnamento.
"Il lavoro - si legge infatti nel nuovo documento - è fonte di vita morale e di benessere economico e deve avere nell'insegnamento un'adeguata importanza. E' necessario che le nuove generazioni riconoscano nel lavoro la principale risorsa della nostra economia e il mezzo più efficace per la rinascita nazionale. Solo col lavoro si possono stabilire saldi e pacifici rapporti di collaborazione tra i popoli."
Il coordinamento della commissione incaricata di redigere i nuovi programmi era stato affidato dagli alleati ad un pedagogista americano amico di John Dewey, Carleton Wolsey Washburne, già noto per avere diretto il complesso scolastico sperimentale di Winnetka, sobborgo di Chicago. Per gli estensori dei nuovi programmi, il lavoro da svolgere a scuola non doveva limitarsi ad "un vacuo e disordinato dilettantismo" ma, al contrario, doveva possedere quanto più possibile le caratteristiche di una effettiva attività lavorativa. Si legge infatti nei nuovi programmi: "Nelle prime classi, tanto per i bambini che per le bambine, si partirà da un lavoro spontaneo ricco di suggestioni ricreative, per giungere gradualmente, nel corso elementare superiore, ad una autentica attività lavorativa, sempre tenendo presenti le limitate possibilità realizzative dell'alunno in rapporto all'età e ai mezzi materiali a sua disposizione. Comunque, si cercherà di conseguire in ogni lavoro un risultato di pratica utilità."
Il riferimento all'utilità pratica di ogni attività lavorativa svolta dai fanciulli si lega a quella preoccupazione di mantenere una forte unità tra teoria e pratica, tra attività intellettuale e attività manuale, che è caratteristica della visione del Dewey e che ha le sue radici in una visione alquanto critica della società americana di fine 800.
Scriveva infatti John Dewey nel famoso Scuola e Società (1915): "mentre la formazione per le professioni dell'apprendimento e della conoscenza è ritenuta cultura di un qualche tipo, o un'educazione liberale, al contrario la formazione di un meccanico, di un musicista, di un avvocato, di un dottore, di un agricoltore, di un commerciante o di un funzionario delle ferrovie è considerata meramente tecnica e professionalizzante. Le conseguenze di questa mentalità sono evidenti: la divisione tra persone "di cultura" e semplici "lavoratori", la separazione tra teoria e pratica." (p. 20 dell'edizione italiana, La Nuova Italia Editrice, traduzione mia)
Che cosa c'entra tutto questo con i problemi di oggi? C'entra, e non poco, dal momento che il dibattito sull'opportunità o meno di mettere al centro della formazione il tema del lavoro è della massima importanza e di grande attualità (si leggano ad esempio le recenti osservazioni di Claudio Gentili, vice direttore Politiche Territoriali, Innovazione e Education di Confindustria, sul Liceo Classico).
"Quello del lavoro, sia nella società sia nella generale elaborazione culturale, - scrive Lucio Guasti in un suo recente saggio sulle competenze - fu un argomento centrale per le democrazie vecchie e nuove, tale da essere inserito nei documenti fondativi della vita sociale ma anche in quelli relativi all'educazione delle nuove generazioni" (Guasti, 2012). Secondo una certa visione pedagogica, che come si è visto ha radici molto estese e motivazioni profonde, l'attenzione al tema del lavoro favorisce una maggiore affinità della formazione con le dinamiche sociali e produttive, e nello stesso tempo garantisce un apporto di sensibiltà antropologica e di umanizzazione ad ogni attività lavorativa. Credo - per dirla con Lucio Guasti - che ci rendiamo tutti conto di quanto ce ne sia bisogno, ieri come oggi.
Quello di Guasti mi pare un libro davvero prezioso. Quanto le sue tesi siano condivise o quanto meno oggetto di interesse e attenzione nell'area di Bologna lo si può in parte dedurre dal numero di copie del suo saggio attualmente disponibili nelle biblioteche del polo bolognese: una sola (guardate dove).


