Si tratta di sviluppare una nuova cultura che si basi non solo sull'abilità tecnica dell'uomo, ma anche sulla sua saggezza; non solo sulla sua capacità di modificare la natura, ma anche su quella di comprenderla; che veda l'uomo non solo in grado di dare nuove qualità all'artificiale, ma anche di garantire la continuità di quel fragile substrato naturale su cui si basa tutto l'esistente e anche la sua stessa speranza di vita. (E.M.)

lunedì 12 maggio 2014

cucito ergo sum

Scrittura creativa, teatro, canto corale: la scuola è popolata dai laboratori più disparati, ma di laboratori di cucito se ne vedono pochi. Eppure penso che ai bambini e ai ragazzini di oggi l'attività di taglio e cucito piacerebbe non poco, anche per l'utilizzo di macchine da cucire super-tecnologiche che hanno le carte in regola per far dimenticare, almeno per qualche tempo, tablet e smartphone vari e applicazioni connesse...


Durante l'ultimo week end, negli spazi del centro commerciale di Villanova di Castenaso si sono svolti alcui laboratori di cucito organizzati dall'associazione CucitoCafé di Bologna che è stata fondata circa tre anni fa da un gruppo di simpatici appassionati di moda e di creatività, tra cui alcuni sarti professionisti (a questo indirizzo il loro blog: http://cucitocafebo.blogspot.it/). Tra i laboratori che organizzano (leggo dal loro volantino): taglio e cucito base, costruzione e confezione della gonna, costruzione e confezione abito femminile, uncinetto, maglia, punto croce senza segreti (il mio preferito), e tanti altri. Sabato mattina, dopo lunga opera di convincimento, ho provato a portare i miei figlioli più piccoli al laboratorio "dolcetti di stoffa" (vedi foto sotto). Superato il primo momento di spaesamento si sono appassionati e, guidati da mani e voci esperte, hanno portato a termine il loro coloratissimo e soffice dolcetto (subito adibito a "regalino-per-la-festa-della-mamma-2014").

E' un peccato che a scuola (e dove se no?) sia sempre più raro il poter imparare i rudimenti del taglio e del cucito, maschietti e femminucce senza distinzioni ovviamente. Il valore formativo delle attività manuali, in particolare di quelle di confezionamento di oggetti di utilità pratica effettiva (un abito, una gonna, un astuccio, ecc), va oggi riscoperto pena una perdita di contatto con materiali e strumenti reali (e non solo virtuali!) le cui conseguenze negative sono sempre più evidenti. Non ha tutti i torti Gabriella Gai quando scrive nel suo vivace blog:

"Non esagero nel dire che la scomparsa delle Applicazioni Tecniche (maschili e femminili), una materia molto divertente che si insegnava nelle scuole medie inferiori ha prodotto nelle generazioni successive alla mia una quantità di giovani incapaci di utilizzare le mani per fare qualsiasi cosa sia utile a tamponare un’emergenza. Cucire, nelle Applicazioni Tecniche Femminili era una di queste.


Non tutte le ragazzine lo facevano volentieri, ma alla fine tutte eravamo in grado di attaccare un bottone, ricucire un orlo, un bottone automatico, riparare una cucitura aperta e tutto questo con il semplice uso di ago e filo."

D'altra parte è interessante come lo stesso Dewey (si, sempre il nostro John Dewey, già citato in altri post di questo blog; converrà farci l'abitudine) nel suo ineffabile "Scuola e Società" (1899) si immaginava l'aula di cucito come uno degli spazi della scuola ideale alla quale stava lavorando. Dopo avere auspicato (vedi approfondimento in fondo), in vista della realizzazione di un artefatto o di un'opera d'arte, una perfetta fusione tra pensiero e organi di esecuzione (o di espressione), scrive (traduzione mia):

"Consideriamo l'aula di cucito come un'esempio di una sintesi del genere. Mi riferisco ad una scuola futura, quella che speriamo un giorno di avere. La cosa essenziale in quest'aula è il fatto di essere un laboratorio, fatto di cose concrete come cucire, filare, e tessere. I bambini entrano in contatto diretto con i materiali, con i diversi tessuti di seta, di cotone, di lino, e di lana. Ogni informazione si presenta intrinsecamente collegata a quei materiali; alla loro provenienza, alla loro storia, al loro impiego per particolari usi, e alle macchine di vario tipo utilizzate per lavorare i materiali grezzi.

Il mestiere si manifesta nell'affrontare i problemi via via incontrati, che sono sia teorici che pratici. E la cultura da dove trae origine? In parte dal vedere tutte queste cose riflesse mediante le loro effettive condizioni scientifiche e colleganze storiche, attraverso le quali il bambino impara a considerarle come conquiste della tecnica, come pensieri condensati in azione; e in parte per effetto dell'introduzione - nella stessa aula - dell'idea di arte."


Interessante no?
(Indovinate quali sono i miei figlioli)

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per approfondire:

La citazione di Dewey è preceduta dal seguente brano (traduzione mia):
"Tutta l'arte coinvolge gli organi del corpo - occhio e mano, orecchio e voce; eppure è di più rispetto alla mera abilità tecnica presupposta dagli organi di espressione. Essa infatti implica una visione, un pensiero, una rielaborazione spirituale della realtà; eppure non si esaurisce in un qualche insieme di idee fini a sè stesse. Essa è invece una fusione vitale tra il pensiero e lo strumento di espressione. Questa fusione si può evocare efficacemente col dire che nella scuola ideale l'opera d'arte si può considerare la stessa dell'officina, ma come restituita all'azione dopo essere passata attravesro gli alambicchi della biblioteca e del museo." (The School and Society, 1899)

domenica 4 maggio 2014

la scuola e il lavoro

L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. Il primo articolo della Costituzione Italiana venne approvato nella sua forma definitiva e attuale il 22 marzo del 1947, qualche mese prima dell'approvazione del documento complessivo, avvenuta il 22 dicembre dello stesso anno.

Il chiaro e perentorio riferimento al lavoro seguiva di un paio di anni un altro forte richiamo a questo valore fondamentale, relativo in questo caso alla politica scolastica della nascente repubblica. Nei programmi della scuola elementare approvati con DM il 9 febbraio 1945 e successivmante tradotti nel Decreto luogotenenziale n. 459 del 24 maggio 1945 ("programmi per le scuole elementari materne"), liberamente consultabili sul sito della Gazzetta Ufficiale storica, il lavoro rappresenta una delle discipline o materie di insegnamento.

"Il lavoro - si legge infatti nel nuovo documento - è fonte di vita morale e di benessere economico e deve avere nell'insegnamento un'adeguata importanza. E' necessario che le nuove generazioni riconoscano nel lavoro la principale risorsa della nostra economia e il mezzo più efficace per la rinascita nazionale. Solo col lavoro si possono stabilire saldi e pacifici rapporti di collaborazione tra i popoli."


Il coordinamento della commissione incaricata di redigere i nuovi programmi era stato affidato dagli alleati ad un pedagogista americano amico di John Dewey, Carleton Wolsey Washburne, già noto per avere diretto il complesso scolastico sperimentale di Winnetka, sobborgo di Chicago. Per gli estensori dei nuovi programmi, il lavoro da svolgere a scuola non doveva limitarsi ad "un vacuo e disordinato dilettantismo" ma, al contrario, doveva possedere quanto più possibile le caratteristiche di una effettiva attività lavorativa. Si legge infatti nei nuovi programmi: "Nelle prime classi, tanto per i bambini che per le bambine, si partirà da un lavoro spontaneo ricco di suggestioni ricreative, per giungere gradualmente, nel corso elementare superiore, ad una autentica attività lavorativa, sempre tenendo presenti le limitate possibilità realizzative dell'alunno in rapporto all'età e ai mezzi materiali a sua disposizione. Comunque, si cercherà di conseguire in ogni lavoro un risultato di pratica utilità."


Il riferimento all'utilità pratica di ogni attività lavorativa svolta dai fanciulli si lega a quella preoccupazione di mantenere una forte unità tra teoria e pratica, tra attività intellettuale e attività manuale, che è caratteristica della visione del Dewey e che ha le sue radici in una visione alquanto critica della società americana di fine 800.


Scriveva infatti John Dewey nel famoso Scuola e Società (1915): "mentre la formazione per le professioni dell'apprendimento e della conoscenza è ritenuta cultura di un qualche tipo, o un'educazione liberale, al contrario la formazione di un meccanico, di un musicista, di un avvocato, di un dottore, di un agricoltore, di un commerciante o di un funzionario delle ferrovie è considerata meramente tecnica e professionalizzante. Le conseguenze di questa mentalità sono evidenti: la divisione tra persone "di cultura" e semplici "lavoratori", la separazione tra teoria e pratica." (p. 20 dell'edizione italiana, La Nuova Italia Editrice, traduzione mia)


Che cosa c'entra tutto questo con i problemi di oggi? C'entra, e non poco, dal momento che il dibattito sull'opportunità o meno di mettere al centro della formazione il tema del lavoro è della massima importanza e di grande attualità (si leggano ad esempio le recenti osservazioni di Claudio Gentili, vice direttore Politiche Territoriali, Innovazione e Education di Confindustria, sul Liceo Classico).

"Quello del lavoro, sia nella società sia nella generale elaborazione culturale, - scrive Lucio Guasti in un suo recente saggio sulle competenze - fu un argomento centrale per le democrazie vecchie e nuove, tale da essere inserito nei documenti fondativi della vita sociale ma anche in quelli relativi all'educazione delle nuove generazioni" (Guasti, 2012). Secondo una certa visione pedagogica, che come si è visto ha radici molto estese e motivazioni profonde, l'attenzione al tema del lavoro favorisce una maggiore affinità della formazione con le dinamiche sociali e produttive, e nello stesso tempo garantisce un apporto di sensibiltà antropologica e di umanizzazione ad ogni attività lavorativa. Credo - per dirla con Lucio Guasti - che ci rendiamo tutti conto di quanto ce ne sia bisogno, ieri come oggi.

Quello di Guasti mi pare un libro davvero prezioso. Quanto le sue tesi siano condivise o quanto meno oggetto di interesse e attenzione nell'area di Bologna lo si può in parte dedurre dal numero di copie del suo saggio attualmente disponibili nelle biblioteche del polo bolognese: una sola (guardate dove).