Che i filosofi si interessino alla scienza non è certo una novità. Che questo avvenga anche per la tecnologia è forse un po' meno risaputo, anche se opere di grande successo e diffusione come "Psiche e techne" del filosofo
Umberto Galimberti - utilzzata tra l'altro come fonte, insieme ad altre, per la recente
prova di maturità - hanno in parte modificato questa percezione. Fatto sta che
pratica scientifica e
pratica tecnologica sono state (in passato) e sono (tuttora) al centro delle osservazioni e delle riflessioni di molti filosofi.
In questa schiera di studiosi e di filosofi occupa un posto di primaria importanza il grande
Ludovico Geymonat (1908-1991), della cui vicenda umana e professionale il dizionario biografico Treccani offre un eccellente
saggio.
Vi si legge infatti:
< Negli ultimi scritti il Geymonat elaborava la nozione di
patrimonio scientifico tecnologico, che configurava un'idea di scienza sotto il profilo diacronico, come
sistema fluido e in sviluppo e tuttavia unitario: "una struttura che si presenta al contempo come multipla e unitaria: multipla perché generata da tante acquisizioni scientifiche e tecniche fra di loro distinte, unitaria perché costruita dall'intreccio di queste acquisizioni, non dal semplice accostamento di esse, prese ciascuna nella sua singolarità" (
Scienza e realismo, p. 51). >
(Ludovico Geymonat
dal sito http://www.sism.unito.it/)
Girolamo De Liguori,
autore del
saggio sul 'biografico' Treccani,
illustra molto bene la progressiva attenzione riservata da Geymonat alla
sfera sociale e politica, ritenuta un orizzonte imprescindibile per una
piena comprensione dell'impresa scientifico tecnologica:
< La
storicità strutturale
della scienza e l'esame del patrimonio scientifico-tecnologico
procedono insieme nella riflessione filosofica e scientifica compiuta
dal Geymonat negli ultimi anni, coinvolgendo in pieno la sfera
sociopolitica, cui da sempre il Geymonat aveva posto attenzione ma che
era tuttavia rimasta separata dal suo lavoro propriamente
epistemologico. La politica fu per lui passione forte e, quanto quella
per la scienza, impegno di vita. E nell'ultimo periodo, nel clima mutato
dominato dall'idea della crisi della ragione e da una diversa immagine
della scienza entro gli indirizzi postpositivisti (K. Popper, tra gli
altri), egli mirò a
interpretare l'impresa scientifica in tutta la sua complessità teoretica, tecnologica e sociale. >
(Giulio Giorello)
Giulio Giorello - allievo di Geymonat - condivide con il maestro l'interesse per l'impresa scientifica tecnologica. Scrive in un suo
recente contributo che accompagna (insieme a quelli di altri autori) l'ultima edizione italiana del famoso
libro di Charles P. Snow "Le due culture":
< [Ludovico Geymonat] Esortava soprattutto noi “giovani filosofi” a cercare (senza boria) “la filosofia nelle pieghe della scienza” e disprezzava l’eccessivo timore degli “scandali” prodotti da
scienza e tecnologia. Più ricordo le sue parole, più sono dell’opinione che avesse ragione. Al contrario che nelle religioni positive,
nella scienza lo scandalo è fonte di vita. Cosa c’è di meglio per qualsiasi creazione dello spirito umano che venire utilizzata, contestata, magari stravolta in un dibattito (come è appunto quello scientifico) in cui in linea di principio nessuna opinione è immune da critica o revisione? L’ospitalità che la scienza offre a qualsiasi “straniero” (ricordiamoci delle parole di Milton) è di questo tipo.
Non c’è miglior rispetto che quello che prende forma nelle modalità del conflitto. >
E ancora più
recentemente, sempre con riferimento agli insegnamenti di Geymonat, scrive sempre
Giulio Giorello:
< Negli anni Ottanta del secolo scorso, Geymonat, nel suo Lineamenti di filosofia della scienza (1985), invitava i giovani studiosi di filosofia a cercarla «tra le pieghe della scienza». Non si trattava tanto di indicare le regole del metodo, come avevano fatto i tradizionali approcci razionalistico ed empiristico, quanto di
sviscerare la novità filosofica che emergeva dalle recenti conquiste scientifiche. In quell’epoca Geymonat aveva in mente soprattutto la lezione della fisica novecentesca – relatività e quanti in particolare – ma non dimenticava l’importanza della rivoluzione evoluzionistica, iniziatasi con Darwin e coronata nel 1953 dalla scoperta della struttura del DNA (e le conseguenti ricadute biotecnologiche). Infine, Geymonat non dimenticava nemmeno le rivoluzioni nel campo della logica e della matematica, in particolare con le ricadute nella nuova scienza dell’informazione.
La filosofia della scienza è dunque qualcosa che non può prescindere dalla pratica scientifica e dalle stesse realizzazioni della tecnologia. > (Giorello, Epistemologia e filosofia della scienza, in Rivista Italiana di Filosofia Analitica Junior 4:2 -2013)
Si coglie, da questi pochi accenni, un crescente interesse per le dinamiche storiche e sociali dell'impresa tecnologica e scientifica. Che ritorna in un
interessante articolo del 4 luglio scorso, pubblicato sul Corriere, in cui Giorello presenta e recensisce il bel libro di Luigi Berlinguer (con Carla Guetti) di cui ci siamo occupati in
un nostro post precedente; scrive Giorello:
<E non ci sono solo le tecnologie digitali. Berlinguer (...) ricorre allo splendido
La natura della tecnologia di
W. Brian Arthur (traduzione di Davide Fassio,
Codice edizioni, 2011 -
qui si possono leggere le prime pagine), che sottolinea come la tecnologia sia un tratto dell'evoluzione culturale analogo al processo per cui l'evoluzione darwiniana consente che
organi specializzati in una certa funzione vengano poi impiegati con successo in un'altra. Come le ali degli uccelli, che originariamente costituivano un regolatore dell'equilibrio termico, ma poi dovevano venire utilizzate per spiccare il volo! Ci sono vicende affascinanti di innovatori tecnologici non meno «astuti» della natura: come quella di Frank Whittle, che negli anni Trenta per il volo ad alta quota escogitò un congegno che riprendeva la vecchia idea della turbina a gas, ma per produrre un «getto propellente» invece di azionare l'usuale elica.>
(W. Brian Arthur)
Lo studio della
tecnologia, delle sue dinamiche, dei suoi processi storici e sociologici - sembra suggerire Giorello - prepara e introduce allo studio della
filosofia, la quale non può che muoversi - anche e forse particolarmente - «tra le sue pieghe», per riprendere l'espressione di Geymonat. E a trarre vantaggio da questa rinnovata attenzione alla 'natura della tecnologia' - spiega Giorello in linea con le idee di Berlinguer - potrebbe essere la stessa organizzazione scolastica:
<Ritrovare nella scuola la
dimensione storica dell'ingegneria avrebbe un valore esemplare, non solo per le menti dei giovani, ma per le modalità di organizzazione: queste e altre innovazioni, scrivono Berlinguer e Guetti, finirebbero col
cambiare i tempi e gli spazi dell'insegnamento. >
Che dire. I fautori dell'educazione tecnologica e del suo auspicabile incremento nel percorso formativo dei nostri giovani un 'alleato' del calibro di Giulio Giorello forse non se lo aspettavano.
Ce ne rallegriamo.