(Il poeta Ungaretti all'Italsider negli anni Sessanta
da http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it)
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Corrono i primi anni 50, inizia la pubblicazione la rivista "Civiltà delle macchine" sotto la direzione di Leonardo Sinisgalli, e nel primo numero della rivista (era il gennaio del 1953 per la precisione) Ungaretti viene invitato a svolgere qualche riflessione suggerita "dal progresso moderno, irrefrenabile, della macchina".
(il primo numero di Civiltà delle Macchine - gennaio 1953
da http://www.internetculturale.it/)
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Ne scaturisce un testo straordinario, sotto forma di lettera all'amico Sinisgalli direttore della rivista. La lettera si conclude con queste righe:
"Il volo, l'apparizione delle cose assenti, la parola udita nel medesimo suono casuale di chi l'ha profferita senza ostacoli di distanza di tempo e di luogo, gli abissi marini percorsi, il sasso che racchiude tanta forza da mandare in fumo in un baleno un continente, tutte le favolose meraviglie da Mille e una notte, e molte altre, si sono avverate, la macchina le avvera. Hanno cessato d'essere slanci nell'impossibile della fantasia e del sentimento, sogni, simboli della sconfinata libertà della poesia. Sono divenuti effetti di strumenti foggiati dall'uomo. Come l'uomo potrà risentirsi con essi strumenti grande, traendo forza solo dalla sua debole carne? - Forza morale! - La rivista che inizia con questo numero le sue pubblicazioni, e che tu dirigi, si propone di richiamare l'attenzione dei lettori anche sulle facoltà strabilianti d'innovamento estetico della macchina. Vorrei anche che essa richiamasse l'attenzione su un altro ordine di problemi: i problemi legati all'aspirazione umana di giustizia e libertà. Come farà l'uomo per non essere disumanizzato dalla macchina, per dominarla, per renderla moralmente arma di progresso?"
Luca De Biase si era già interessato a questa formidabile lettera del "visionario" Ungaretti in un suo post di qualche anno fa. Ora la riprende, sottolineandone l'attualità e facendo riferimento all'auspicato salto culturale:
"Gli elaboratori, suggeriva Giuseppe Ungaretti, sono destinati a diventare talmente potenti da superare l'immaginazione umana. E quando avverrà, diceva, gli uomini saranno tentati di imparare a pensare come i computer: a meno che non sappiano fare un grande salto di qualità culturale ed etico."
(di Luca De Biase - Continua a leggere su IlSole24ORE.com)
Ma la conclusione dell'articolo di De Biase è quella più interessante:
"Certo, anche l'idea di progresso sta cambiando in quest'epoca di grande trasformazione. Le visioni e le intuizioni che tentano di interpretarla sono preziose. Ed è però necessario che si incarnino nell'innovazione fondamentale, quella che si dedica alla formazione. Questione decisiva: per sviluppare una società consapevole dei rischi che si corrono se ci si limita a usare la tecnologia senza comprenderla e, soprattutto, per alimentare di idee una popolazione che sappia essere protagonista dell'innovazione, che sappia riconoscere le gigantesche possibilità che il presente offre a chi sia pronto a vederle e a coglierle. Occorre il salto di qualità culturale ed educativo immaginato da Ungaretti. La scuola è chiamata a svolgere un compito essenziale."
D'accordissimo. Faccio invece più fatica a seguire De Biase nella sua simpatia per le idee di Dianora Bardi, molto amplificate in questi giorni dalla scelta di un suo brano tra i documenti proposti per il tema della maturità di quest'anno. Ecco il brano:
«Per molto tempo al centro dell'attenzione sono state le tecnologie e gli interrogativi che si portano dietro: «Meglio i tablet o i netbook?», «Android, iOs o Windows?», seguiti da domande sempre più dettagliate «Quanto costano, come si usano, quali app…». Intanto i docenti hanno visto le classi invase da Lim, proiettori interattivi, pc, registri elettronici o tablet, senza riuscire a comprendere quale ruolo avrebbero dovuto assumere, soprattutto di fronte a ragazzi tecnologicamente avanzati che li guardavano con grandi speranze e aspettative. Per gli studenti si apre una grande opportunità: finalmente nessuno proibisce più di andare in internet, di comunicare tramite chat, di prendere appunti in quaderni digitali o leggere libri elettronici.»
(http://nova.ilsole24ore.com/frontiere/la-tecnologia-da-sola-non-fa-scuola)
In queste riflessioni forse un po' frettolose non mi sembra di leggere, come invece fa De Biase, con lodevole generosità peraltro, "le grandi aspettative di miglioramento didattico connesse all'innovazione", oppure "le gigantesche opportunità di riprogettazione dell'eperienza scolastica per adattarla alle sfide della contemporaneità". L'analisi mi pare più fragile: gli studenti sono presentati quasi come prigionieri digitali in un mondo - la scuola - dominato da carcerieri analogici con poco o nulla da dire o da suggerire, intenti per lo più a proibire e punire. La questione è più variegata, alle luci si accompagnano molte ombre. Per dirne una, ma torneremo con più calma su queste questioni, bisognerà intendersi su che cosa significhi "comunicare", "prendere appunti", "leggere"; facendo molta attenzione alle insidie dell'ovvio, per citare il titolo di un prezioso lavoro di Maria Ranieri su questi argomenti.
In conclusione, senza nulla togliere alla Bardi e alle sue certezze, preferisco di molto gli interrogativi di Ungaretti. E voi che ne dite?










