Si tratta di sviluppare una nuova cultura che si basi non solo sull'abilità tecnica dell'uomo, ma anche sulla sua saggezza; non solo sulla sua capacità di modificare la natura, ma anche su quella di comprenderla; che veda l'uomo non solo in grado di dare nuove qualità all'artificiale, ma anche di garantire la continuità di quel fragile substrato naturale su cui si basa tutto l'esistente e anche la sua stessa speranza di vita. (E.M.)

lunedì 2 giugno 2014

un salto culturale

Trent'anni sono una vita. Ma le buone idee possono avere una lunga incubazione, e dare poi frutto in modo inaspettato.

Era il 1983 quando Arnold Pacey, giovane studioso di scienze agrarie e ambientali, diede alle stampe (per MIT Press) un suo lavoro intitolato 'The culture o technology' 



Il suo lavoro fu tradotto in italiano e uscì per Editori Riuniti qualche anno dopo con il titolo, chissà perchè modificato, "Vivere con la tecnologia" (http://sol.unibo.it/SebinaOpac/Opac?action=search&thNomeDocumento=UBO0451799T), con la prefazione di Antonio Ruberti. Lo stesso Ruberti, in un suo intervento di poco precedente alla pubblicazione, spiegava il valore del pioneristico lavoro di Pacey:

<<L'obiettivo del libro è condensato in questo giudizio: "Nelle società avanzate del mondo, con le loro economie di mercato, le istituzioni aperte e la democrazia politica, un tema dominante, il tema del progresso, viene trattato in senso unidirezionale, nel senso di uno sviluppo lineare, dell'implicita e spesso esplicita fede nelle possibilità illimitate di espansione quantitativa. Il nuovo tema che potrebbe prendere il suo posto... non è la negazione della crescita... ma quello che mi sembra un passo avanti, cioè uno sviluppo qualitativo piuttosto che quantitativo".>>


Proseguiva Ruberti, parafrasando Pacey: <<In rapporto a questo obiettivo è bene non limitarsi ad identificare la tecnologia con i suoi aspetti tecnici (macchine, attività di produzione, ecc.) e non accettare la separazione tra produzione ed uso. Appare utile perciò, ispirandosi alla differenza tra "scienza medica" (aspetti strettamente scientifici e tecnici) e "pratica medica" (attività terapeutica nel suo insieme, acquisizioni tecniche, organizzazione, aspetti culturali con scale di valori e codice etico della professione), introdurre il concetto di "pratica tecnologica" come < l'applicazione di conoscenze scientifiche e di altre conoscenze ai fini pratici mediante sistemi articolati coinvolgenti persone e organizzazioni, cose viventi e macchine >. E' uno sforzo per collegare produzione e utilizzazione, tenere insieme aspetti tecnici, organizzativi e culturali. >>

(Antonio Ruberti)

The culture o technology è rimasto l'unico lavoro di Pacey, che io sappia, tradotto in italiano e pubblicato in Italia (forse in un'unica edizione, ma non ne sono sicuro), nonostante l'autore abbia proseguito il suo lavoro pubblicando diversi altri studi intorno agli stessi temi. Un grande merito di Pacey è stato quello di mettere in evidenza, tra i primi, la dimensione culturale dell'impresa tecnologica, contribuendo ad arricchire e a precisare la comprensione stessa del fenomeno tecnologico. E non ricorrendo a categorie concettuali di derivazione aristotelica o comunque di tipo razionalistico, ma partendo da un'acuta osservazione delle effettive 'pratiche tecnologiche', riconoscibili nelle più diverse culture e alle più diverse latitudini. Lo stesso titolo (originale) del suo lavoro è emblematico: suona come una affermazione provocatoria, come la rivendicazione di un dominio culturale per un ambito di conoscenze e di saperi - quelli della Tecnologia, appunto -  tradizionalmente relegati alla semplice sfera dell'applicazione.

Passano gli anni senza che le idee di Pacey lascino segni evidenti, almeno in Italia. Arriva il 2005 e la rivista del CNR "TD - Tecnologie Didattiche" dedica un intero numero al tema della cultura nell'attuale società della conoscenza ("quale cultura nella società della conoscenza") con interventi di alcuni 'saggi' tra cui Silvano Tagliagambe, Vittorio Campione, Roberto Maragliano, Mario Fierli. E' proprio Mario Fierli a firmare un articolo denso, interessante e un po' controcorrente dal titolo "La cultura della tecnologia". Nel testo - che si pone domande fondamentali e ancora attuali come: "Cosa è il sapere tecnologico?", "Come viene percepito e vissuto?", "Qual è il suo posto nell'educazione?" -  Fierli rilancia una visione della tecnologia di ampio respiro, non riducibile al solo crinale delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, e riprende esplicitamente il lavoro di Pacey di vent'anni prima.

(Mario Fierli)

Nel definire i tre ambiti di una cultura della tecnologia Fierli riprende, leggermente semplificato, lo schema di Pacey. E spiega: <<una cultura della tecnologia si riferisce ad almeno tre ambiti fondamentali: il sapere tecnologico, il contesto sociale della tecnologia, le immagini e i valori della tecnologia; i tre ambiti sono strettamente collegati, in modo che le pratiche e i saperi relativi ad un ambito non si comprendono senza collegarli alle pratiche e ai saperi degli altri due.>>


Fierli prosegue il suo lavoro riproponendo una distinzione classica tra tre aree concettuali fondamentali della tecnologia, quelle relative a (A) materia, a (B) energia e a (C) informazione/comunicazione. Classificazione che, nella sua schematicità, ha il pregio di circoscrivere il raggio d'azione delle TIC (tecnologie dell'informazione e della comunicazione) evitando il rischio, molto presente negli ambienti formativi, che esse - soprattutto nella loro accezione (riduttiva) di tecnologie educative - occupino l'intero campo semantico della Tecnologia. Inoltre l'autore affronta, seppur in modo rapido, due questioni importanti relative al significato dei termini in gioco. La prima si riferisce al significato del termine tecnologia: <<Da sempre è aperto un dibattito, anzi una disputa, sul significato dei termini tecnica e tecnologia. Abbastanza facile è definire la tecnica come un insieme di mezzi e processi rivolti a fini pratici. Fra questi fini c’è la produzione di oggetti, ma anche la modifica di sistemi naturali e la creazione di sistemi organizzativi. Il termine tecnologia è invece usato con significati diversi, ma soprattutto due: a) sapere (concetti, regole, metodi, teorie, modelli) che serve per condurre attività tecniche e quindi “teoria” della tecnica, b) categoria di oggetti e di soluzioni pratiche che si basano sugli stessi concetti e metodi.>> La seconda questione si riferisce all'uso del singolare oppure del plurale del termine tecnologia: <<Le considerazioni di questo contributo sono di tipo generale e quindi si parla di tecnologia senza ulteriori distinzioni. In realtà appena si voglia scendere nel concreto di qualsiasi operazione formativa è necessario parlare di tecnologie o aree tecnologiche. La classificazione in aree tecnologiche è arbitraria e dipende dal contesto e dai fini per cui si adotta. In particolare può cambiare molto il livello di specificazione e quindi la vastità delle aree considerate>>

La natura "federale" del sapere tecnologico, così come i rapporti tra Tecnologia e Scienza, hanno sempre rappresentato problemi non banali sul piano logico ed epistemologico. Scriveva qualche anno fa Ferdinando Riotta, un altro studioso di tecnologia: <<La disciplina Tecnologia esiste e ha una propria identità, altrimenti non esisterebbero facoltà universitarie come Ingegneria, Architettura, Agraria, ecc.; si tratta di ragionare sul modo di trasformarla in una materia scolastica. Per far questo proviamo a capitalizzare le esperienze di altre discipline: sappiamo tutti che la Scienza, al singolare, è metodo, indagine, sperimentazione, logica … mentre le Scienze, al plurale sono “ambiti” come Biologia, Chimica, Fisica, Etologia, ecc. Cosa possiamo dire della Tecnologia e delle Tecnologie? Perché le Scienze sono insegnate al plurale con la Scienza in dimensione trasversale e noi insegniamo nominalmente al singolare pur se i libri di testo sono pieni praticamente solo del plurale?>>. Domande alle quali in altra sede ho tentato di rispondere.


Lo stesso tema della 'anomalia disciplinare' della tecnologia ritorna nell'ultimo libro di Luigi Berlinguer, ex ministro dell'Istruzione, che a pagina 155 del suo 'Ri-creazione' scrive, a proposito del sapere tecnologico: <<A ben vedere, non si tratta di una disciplina, ma di un insieme di ambiti disciplinari interrelati tra loro, appunto di cultura, di cui ciascuno deve sentirsi partecipe, anche se in modo diverso e coerente rispetto alle proprie personalità e attività.>> Alla scuola spetterebbe il compito di preparare e alimentare l'incontro con questa cultura, a partire dalle sue manifestazioni empiriche e materiali ma senza fermarsi ad esse, e cogliendole come spunti e occasioni per un lavoro più approfondito, analitico e critico, di matrice culturale. Prosegue infatti l'autore: <<In tale ottica la scuola rappresenta l'ambiente congeniale dove iniziare a elaborare una visione culturale del'universo tecnologico, attraverso un processo educativo che, partendo dall'uso delle tecnologie, arrivi a penetrarne gli elementi più squisitamente teorici o speculativi, tramite uno studio interdiciplinare posto tra tradizione e innovazione.>>

(Luigi Berlinguer)

Berlinguer riprende, senza citarla esplicitamente, la classificazione proposta da Fierli nel suo articolo su TD, ancora una volta (sono passati quasi dieci anni) per mitigare l'invadenza in ambito formativo delle TIC nel più ampio e articolato panorama tecnologico: <<Va detto, però, - scrive a pagina 154 - che il vasto panorama delle tecnologie interessa non solo quelle informatiche ma anche quelle legate per esempio alla materia o all'energia: tutte pervadono dinamicamente il contesto in cui viviamo, lavoriamo, studiamo, modificando in profondità buona parte della nostra vita, offrendo grandi opportuntà e ponendo molti problemi.>> Berlinguer mostra di considerare insufficiente il riconoscimento del valore della cultura della tecnologia e sente il bisogno di riaffermarlo con nettezza, dedicandole l'intero capitolo ottavo del suo saggio, intitolato appunto 'la cultura della tecnologia'. L'importanza della cultura tecnologica viene ribadita anche in rapporto all'indubbio valore della cultura scientifica, ad essa complementare, soprattutto per quanto attiene la sfera dell'azione, cioè della valutazione critica e della decisione su concrete problematiche di carattere sociale, civile, etico; scrive infatti: <<Da questo punto di vista il rapporto tra uomo e mondo artificiale diventa altrettanto importante quanto la relazione tra uomo e mondo naturale. La capacità di saper utilizzare, gestire e dominare le varie tecnologie e tecniche richiede un salto culturale da parte della società della conoscenza, a cominciare proprio dall'istruzione, chiamata a interagire con l'incremento della tecnologia e a rispondere alle nuove domande poste dall'accelerazione della tecnica per formare uomini e donne liberi e responsabili nell'agire.>>


Il "salto culturale", imposto dall'incontro con la tecnologia, oggi auspicato da Luigi Berlinguer, ri ricollega idealmente con quella "Cultural Revolution" alla quale Arnold Pacey intitolava il capitolo conclusivo del suo saggio di oltre trent'anni fa. Forse oggi i tempi sono maturi.

Che ne dite?